- INTERVENTO
Il cammino da percorrere
Intervento di Christine Lagarde, Presidente della BCE, in occasione della conferenza “The ECB and Its Watchers XXIII”
Francoforte sul Meno, 22 marzo 2023
L’area dell’euro è stata colpita da uno shock inflazionistico, che si sta trasmettendo all’economia. L’inflazione complessiva segnerà probabilmente una brusca flessione quest’anno, per effetto del calo dei prezzi dell’energia e dell’allentamento delle strozzature dell’offerta, ma la dinamica dell’inflazione di fondo rimane vigorosa.
In tale contesto il nostro traguardo è chiaro: dobbiamo riportare tempestivamente l’inflazione all’obiettivo di medio termine e lo faremo.
Abbiamo bisogno però di una strategia solida, che tenga conto della notevole incertezza in cui ci muoviamo oggi. Come ha osservato John Maynard Keynes: “Nel formulare aspettative, sarebbe insensato attribuire grande importanza a questioni molto incerte.”
Nella situazione attuale una strategia solida richiede un approccio fondato sui dati per definire la politica monetaria e una chiara funzione di reazione, affinché l’opinione pubblica comprenda le fonti di informazione che saranno importanti per noi.
A tal fine, il percorso futuro della politica monetaria sarà determinato da tre fattori: la nostra valutazione delle prospettive di inflazione alla luce dei dati economici e finanziari più recenti, la dinamica dell’inflazione di fondo e l’intensità della trasmissione della politica monetaria.
Allo stesso tempo, ho affermato con chiarezza che non occorrono compromessi fra la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria. Disponiamo di tutta una gamma di strumenti per fornire liquidità a sostegno del sistema finanziario, se necessario, e per preservare l’ordinata trasmissione della politica monetaria.
Nel mio intervento odierno esaminerò il cammino della politica monetaria già percorso e da percorrere. Spiegherò dunque la funzione di reazione che guiderà le nostre decisioni sui tassi.
Il cammino già percorso
Lo scorso anno l’inflazione nell’area dell’euro ha fatto osservare una forte impennata e una profonda propagazione perché è stata alimentata da due tipi di shock che hanno colpito l’economia nello stesso momento.
Innanzitutto, abbiamo subìto una serie di shock negativi dell’offerta senza precedenti, causati dalle interruzioni nelle catene di approvvigionamento indotte dalla pandemia, dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla conseguente crisi energetica. Pertanto, i costi degli input sono aumentati significativamente in tutti i settori dell’economia.
Secondariamente, abbiamo assistito a uno shock positivo della domanda a seguito della riapertura delle attività economiche dopo la pandemia. Il contesto favorevole per la domanda ha consentito alle imprese di trasmettere i rincari degli input ai prezzi molto più rapidamente e molto più intensamente che in passato[1].
L’orientamento della nostra politica monetaria partiva da livelli assai accomodanti, commisurati al contesto di inflazione molto bassa dell’ultimo decennio e ai primi rischi di deflazione connessi alla pandemia. Abbiamo dovuto quindi correggere, quanto prima, un orientamento divenuto inadeguato.
Inizialmente si è posta una forte enfasi sulla segnalazione, ossia sulla dimostrazione, attraverso azioni e impegni, che la politica monetaria avrebbe percorso con decisione il cammino necessario.
Abbiamo quindi attribuito grande importanza alla tempistica delle nostre misure, innalzando i tassi con aumenti consistenti. Abbiamo anche comunicato con chiarezza la traiettoria ascendente dei tassi, in modo da rassicurare l’opinione pubblica sul fatto che la politica monetaria fosse su un percorso antinflazionistico e che i tassi sarebbero presto usciti dal territorio accomodante. In un certo senso, l’enfasi sull’approccio basato sui dati era meno importante perché la politica monetaria aveva ancora molta strada da fare in tutti gli scenari.
Ma con l’evolvere delle prospettive di inflazione, è apparso evidente che una semplice normalizzazione della politica monetaria, ossia il conseguimento di un orientamento pressoché neutro, non sarebbe bastata da sola. La combinazione degli shock ha avuto due effetti (sulla distanza e sulla persistenza) che hanno reso necessaria un’ulteriore azione di politica monetaria.
In primo luogo, gli shock hanno allontanato l’inflazione dal nostro obiettivo. Anche se probabilmente l’inflazione ha già oltrepassato il suo apice, si sta riducendo da livelli molto elevati e dovrebbe mantenersi su valori troppo alti rispetto al nostro obiettivo per un periodo di tempo eccessivamente esteso. Più a lungo l’inflazione si colloca su livelli troppo elevati, maggiore è il pericolo che rimanga così.
In secondo luogo, gli shock hanno anche accresciuto il rischio che un’inflazione superiore all’obiettivo divenga più persistente. In particolare, le pressioni sui prezzi si sono ampliate e intensificate. Le misure dell’inflazione di fondo rilevate dalla BCE si collocano attualmente tra il 4% e l’8%.
In tale contesto abbiamo dovuto portare i tassi su livelli sufficientemente restrittivi da frenare la domanda. In questo modo abbiamo potuto mantenere salda la presa sulle aspettative di inflazione e assicurare che rimanessero ancorate.
Questo è uno dei motivi principali per i quali ci siamo impegnati a innalzare i tassi di interesse in misura significativa e a un ritmo costante nelle ultime riunioni e abbiamo deciso la settimana scorsa che fosse necessario un ulteriore aumento di 50 punti base.
Il percorso futuro della politica monetaria
Un sensibile aggiustamento della politica monetaria è già alle nostre spalle: dallo scorso luglio abbiamo innalzato i tassi di interesse di 350 punti base. Tuttavia, l’inflazione è ancora elevata e l’incertezza circa la sua evoluzione è aumentata. Pertanto è essenziale avere una strategia solida per il futuro.
Questa strategia si articola in tre elementi.
In primo luogo, data l’elevata incertezza, è ancora più importante che la traiettoria dei tassi sia fondata sui dati. Ciò implica che, a priori, non ci impegniamo a innalzare ulteriormente i tassi né che abbiamo finito di aumentarli. Infatti, come ho spiegato la settimana scorsa, se lo scenario di base delle nostre proiezioni più recenti sarà confermato, avremo ancora molta strada da fare per assicurare che le pressioni inflazionistiche siano disinnescate.
In secondo luogo, anche se il settore bancario europeo gode di buona capacità di tenuta e solide posizioni di capitale e liquidità, alla luce della recente volatilità nei mercati finanziari siamo pronti ad agire e fornire, se necessario, liquidità a sostegno del sistema finanziario e a preservare l’ordinata trasmissione della politica monetaria.
Ma deve essere chiaro che non occorrono compromessi fra la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria. Come abbiamo dimostrato più volte, siamo in grado di stabilire l’orientamento adeguato di politica monetaria per tenere a bada l’inflazione e al tempo stesso utilizzare altri strumenti per far fronte ai rischi per la trasmissione della politica monetaria.
Lo abbiamo fatto quando abbiamo deciso di ricorre in maniera più flessibile ai reinvestimenti nell’ambito del Programma di acquisto per l’emergenza pandemica e quando abbiamo approvato lo strumento di protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Grazie a questi programmi, la normalizzazione dei tassi è proseguita senza intoppi.
Il terzo elemento di una strategia solida è una chiara funzione di reazione. Nell’ultima riunione abbiamo fatto chiarezza sulla nostra funzione di reazione e sulle fonti di informazione che saranno importanti per noi. La calibrazione della traiettoria dei tassi sarà determinata in futuro da tre input fondamentali e richiederà un monitoraggio continuo. Passo dunque a illustrare questi punti.
Le prospettive di inflazione
Il primo input è la nostra valutazione delle prospettive di inflazione alla luce dei dati economici e finanziari più recenti, che terrà principalmente conto delle proiezioni sull’inflazione formulate dai nostri esperti.
La politica monetaria deve essere orientata al futuro, dato lo sfasamento temporale che caratterizza la sua trasmissione. Inoltre, le proiezioni sull’inflazione elaborate dai nostri esperti rappresentano il meccanismo più efficace per distillare i dati economici e finanziari più recenti in un quadro completo della dinamica dell’inflazione a medio termine. La futura traiettoria dei tassi dipenderà dal riscontro o meno nelle nostre previsioni di una convergenza durevole dell’inflazione verso il nostro obiettivo e da quanto reputiamo affidabile tale convergenza alla luce dell’insieme dei rischi.
Le nostre previsioni più recenti collocano l’inflazione complessiva al 2,1% nel 2025 e quella di fondo al 2,2%, con una revisione al ribasso rispetto alle precedenti proiezioni, formulate in dicembre. Tuttavia, al momento l’intervallo di confidenza attorno a queste previsioni è insolitamente ampio.
Tali proiezioni, in quanto basate su dati aggiornati agli inizi di marzo, non tengono conto degli effetti delle recenti tensioni nei mercati finanziari, che hanno aggiunto nuovi rischi al ribasso e reso meno chiare le valutazioni al riguardo. Più in generale, incide anche la volatilità di numerose ipotesi sottostanti alle proiezioni, ad esempio sulle politiche di bilancio e sui prezzi dei beni energetici e alimentari. Ciò comporta ulteriore incertezza circa lo scenario di base sia per la crescita sia per l’inflazione.
In parte tale incertezza si attenuerà via via che si chiariranno le ricadute degli eventi recenti sui mercati finanziari. Tuttavia, a fronte di shock sovrapposti e a mutamenti geopolitici, il suo livello resterà molto probabilmente elevato. Dovremo pertanto tenere conto di indicatori aggiuntivi osservabili in tempo reale per confermare le prospettive emerse dalle nostre proiezioni nel corso del tempo.
L’inflazione di fondo
Il secondo input a cui attingeremo è quindi la dinamica dell’inflazione di fondo.
L’inflazione di fondo non è un obiettivo di policy, ma le sue misurazioni possono consentire una verifica incrociata complementare del nostro processo di previsione. Tipicamente, l’inflazione di fondo ha infatti un comportamento piuttosto inerziale, per cui fornisce un’indicazione riguardo alla persistenza dell’inflazione nel medio periodo. Guarderemo quindi a una svolta duratura verso il basso delle misure dell’inflazione di fondo per ritenere affidabile la convergenza del profilo dell’inflazione verso il nostro obiettivo nel medio termine.
Finora non si riscontrano chiare evidenze di una tendenza al ribasso dell’inflazione di fondo. Di fatto, si osservano due forze che spingono l’inflazione di fondo in direzioni diverse.
Da un lato, il calo dei prezzi dell’energia comporta l’attenuazione di una delle principali determinanti delle pressioni inflazionistiche di fondo. I prezzi dei beni energetici importati sono stati un fattore centrale alla base dell’aumento dell’inflazione in tutti i settori economici, a seguito del forte shock energetico che ci ha investiti. Per questo motivo le misure dell’inflazione di fondo che colgono gli effetti più persistenti dei costi dell’energia mostrano già un calo[2].
D’altro canto, le crescenti pressioni interne sui prezzi potrebbero compensare in parte questo impulso disinflazionistico. Le misure dell’inflazione di fondo che colgono voci sensibili al ciclo economico (come l’indicatore Supercore[3]) o voci a basso contenuto di importazioni si stanno ancora rafforzando. Se ciò dovesse persistere e se la domanda aggregata aumentasse dagli attuali livelli compressi, si potrebbe osservare uno “scambio di ruoli” tra le pressioni sui prezzi all’importazione e quelle sui prezzi interni, per cui le spinte sui prezzi resterebbero nel complesso elevate.
L’andamento dei salari sarà fondamentale per determinare quali di queste forze finirà per prevalere.
L’area dell’euro ha registrato un notevole peggioramento delle ragioni di scambio per effetto dei rincari dei beni energetici, il cui costo dovrà essere ripartito in ultima analisi tra imprese e lavoratori. Inoltre, è importante che vi sia un’equa ripartizione degli oneri, con l’accettazione da entrambe le parti di non poter recuperare integralmente il reddito che l’area dell’euro ha versato al resto del mondo e la conseguente perdita di prodotto.
Finora i salari reali sono diminuiti notevolmente, mentre i margini di profitto delle imprese si sono ampliati in molti settori. Ma le condizioni del mercato del lavoro sono piuttosto tese, la carenza di manodopera è in aumento e lo shock alle ragioni di scambio si è perlopiù riassorbito. Ciò ha indotto i lavoratori a sfruttare il proprio potere contrattuale per recuperare il reddito perduto.
Per i sette paesi considerati nell’analisi dei salari condotta dalla BCE[4], nel corso del 2022 la contrattazione collettiva ha determinato un incremento aggregato dei salari del 4,7% per quest’anno. Ciò sta già contribuendo in misura maggiore all’inflazione di fondo. Le voci sensibili ai salari[5], che avevano comportato all’incirca appena 0,5 punti percentuali in termini di inflazione di fondo prima della pandemia, hanno più che raddoppiato il loro contributo negli ultimi mesi.
Se lavoratori e imprese accetteranno entrambi un’equa ripartizione degli oneri, e una crescita salariale più vigorosa rappresenterà semplicemente un riequilibrio tra lavoro e capitale, le pressioni sui salari e sui prezzi dovrebbero diminuire con l’avanzare di tale processo. Tuttavia, se entrambe le parti tenteranno unilateralmente di ridurre al minimo le proprie perdite, potremmo assistere a una rincorsa tra margini di profitto, salari e prezzi più elevati.
Il rischio di una simile “spirale di ritorsioni” è inoltre accentuato dalla prospettiva che perdurino condizioni tese nei mercati del lavoro.
A differenza di altre realtà economiche, l’area dell’euro registra dallo scorso anno una crescita vigorosa della partecipazione alle forze di lavoro[6], che ha contribuito a rispondere in parte al forte aumento della domanda di lavoro in seguito alla riapertura delle attività economiche. Ma la pandemia ha anche determinato un netto incremento dell’occupazione nel settore pubblico[7], riducendo la disponibilità di manodopera per il settore privato. Inoltre, la misura in cui l’offerta di lavoro si potrà ancora complessivamente espandere dipenderà, tra l’altro, da intricate scelte politiche, quale la posizione dei vari paesi sui versanti dell’immigrazione e dell’assistenza all’infanzia.
Al tempo stesso, il tasso di disoccupazione si colloca al minimo storico e in alcuni paesi è così basso che sarà sempre più difficile assumere personale dal bacino residuo di forze di lavoro.
Ne consegue che la crescita salariale potrebbe prolungare lo shock da costi. È improbabile che ciò impedisca la disinflazione per i beni, poiché i salari rappresentano appena il 20% circa dei costi diretti degli input per le imprese manifatturiere. Per il settore di servizi, invece, i salari rappresentano circa il 40% di tali costi e la componente dei servizi contribuisce per quasi due terzi all’inflazione di fondo.
Al tempo stesso, i margini di profitto delle imprese continuano a crescere, in parte perché alcune approfittano degli squilibri tra domanda e offerta per mettere alla prova la domanda dei consumatori applicando forti rincari, ben oltre gli aumenti dei costi che esse devono sostenere. Tuttavia, in assenza di un aumento persistente del potere di mercato[8], ciò si potrà protrarre soltanto nella misura in cui la domanda continuerà a mostrare una buona tenuta. In caso contrario, le imprese dovranno assorbire gli aumenti dei costi attraverso i margini e le pressioni sui prezzi inizieranno ad attenuarsi.
Qui entra in gioco il terzo input che utilizzeremo per valutare la traiettoria dei tassi di interesse, ossia l’efficacia della trasmissione delle nostre misure di politica monetaria nel contenere la domanda.
La trasmissione della politica monetaria
Alla fine dello scorso anno si è osservata una forte contrazione della domanda interna e i dati più recenti, come le vendite al dettaglio, suggeriscono che non si registra ancora una ripresa dei consumi. Ma ciò non ha interrotto la trasmissione degli aumenti dei costi. Le misure a breve termine della dinamica dell’inflazione di fondo, ad esempio il tasso sui tre mesi precedenti, sono di fatto aumentate a febbraio.
Due fattori potrebbero spiegare questa apparente tenuta.
Il primo è costituito dalle riserve finanziarie atipiche utilizzabili a fini di consumo che le famiglie hanno a disposizione nell’attuale contesto. Beneficiano ancora del considerevole sostegno fornito dalle politiche di bilancio a parziale ristoro degli aumenti dei prezzi dell’energia, che è stato pari a circa 250 miliardi di euro nel 2022 e nel 2023, e hanno ancora circa 900 miliardi di euro di risparmio in eccesso accumulato durante la pandemia[9].
Il secondo fattore è la minore sensibilità del mercato del lavoro al rallentamento della crescita, che sta sostenendo i redditi da lavoro e le aspettative di occupazione delle famiglie. A fronte delle carenze di manodopera, le imprese stanno rispondendo all’indebolimento della domanda soprattutto tramite strategie di mantenimento delle forze di lavoro, ossia con riduzioni ulteriori delle ore lavorate anziché dei posti di lavoro.
E ora, con il calo dei prezzi dell’energia e l’aumento dei salari, il reddito disponibile delle famiglie è destinato ad aumentare. Ciò si è riflesso, prima dell’insorgere delle recenti tensioni nei mercati finanziari, nelle nostre previsioni di una ripresa più vigorosa quest’anno.
Pertanto, affinché le pressioni inflazionistiche si attenuino, è importante che la nostra politica monetaria tenga saldamente la rotta in direzione restrittiva. Tale processo inizia a sortire i suoi effetti soltanto adesso.
La prima parte del processo di trasmissione della politica monetaria, dalle misure di politica monetaria alle condizioni finanziarie e monetarie, sta già esercitando un impatto considerevole. Il costo del finanziamento è in forte aumento e la dinamica dei prestiti sembra contrarsi più rapidamente rispetto ai precedenti cicli di rialzo dei tassi ufficiali. La crescita del credito alle imprese è in netta diminuzione dal terzo trimestre dello scorso anno.
Si osserva inoltre una contrazione degli aggregati monetari, con la crescita sui dodici mesi di M1 che diventa negativa per la prima volta dalla creazione dell’area dell’euro, sebbene ciò sia anche dovuto allo spostamento di fondi dai depositi a vista a quelli a termine meglio remunerati nel contesto dei tassi più elevati.
Per la seconda parte del processo di trasmissione, dall’inasprimento delle condizioni finanziarie e monetarie alla domanda, vi è attualmente maggiore incertezza. Sappiamo che il pieno effetto della politica monetaria sulla domanda si rivelerà solo nel corso del tempo. Ma sia l’intensità sia la velocità di questo processo potrebbero essere cambiate.
Dall’ultimo ciclo di sostanziale rialzo dei tassi di riferimento della BCE, a metà degli anni 2000, la struttura finanziaria dell’area dell’euro si è evoluta. La quota dei mutui a tasso variabile è diminuita, rallentando la trasmissione degli aumenti dei tassi di interesse al pagamento dei debiti. Il risparmio in eccesso e la bassa trasmissione ai tassi sui depositi potrebbero inoltre indebolire gli incentivi per le famiglie a risparmiare una maggiore quota del reddito in risposta all’innalzamento dei tassi di riferimento. Questi fattori potrebbero implicare una minore trasmissione ai consumi.
Al tempo stesso, vi è stato uno spostamento molto repentino da tassi di interesse bassi per un periodo prolungato a livelli considerevolmente più elevati, e questo ha già avuto un impatto sulle componenti della domanda più sensibili agli interessi, come gli investimenti. Gli investimenti in edilizia residenziale sono diminuiti negli ultimi tre trimestri e anche gli investimenti delle imprese si sono contratti alla fine dello scorso anno. Il maggior ruolo svolto attualmente dai settori che dipendono dal valore attualizzato degli utili futuri, come il settore tecnologico, potrebbero altresì intensificare la trasmissione monetaria.
Ciò che occorrerà tenere sotto attenta osservazione nelle settimane e nei mesi a venire è se vi sarà un ulteriore rafforzamento di tale trasmissione. Se, ad esempio, le banche inizieranno ad applicare un più ampio “differenziale di intermediazione”, ossia se a ciascun livello del tasso base richiederanno una compensazione maggiore per il rischio percepito da esse assunto nella concessione dei prestiti, la trasmissione si rafforzerà.
Presteremo pertanto particolare attenzione a una serie di indicatori della disponibilità del credito e del relativo prezzo, quali i dati mensili sui flussi monetari e creditizi, la nostra indagine sul credito bancario e la nostra indagine sull’accesso al credito per le piccole e medie imprese.
Se da un lato condizioni di credito più restrittive sono parte integrante del meccanismo attraverso il quale l’inasprimento monetario finisce per contenere le pressioni in eccesso sui prezzi e riportare l’inflazione all’obiettivo, dall’altro ci assicureremo che il processo di trasmissione resti ordinato in ogni sua fase.
Conclusioni
Voltaire ha detto: “L’incertezza è una posizione scomoda. Ma la certezza è una posizione assurda.” A fronte di shock nuovi e sovrapposti, affrontare l’incertezza è al momento la nostra unica scelta.
Ma di una cosa si può essere certi: conseguiremo la stabilità dei prezzi e non transigiamo sull’impegno a riportare l’inflazione al 2% nel medio termine.
A tal fine seguiremo una strategia solida, che si fonda sui dati e ci vede pronti ad agire, ma senza compromessi riguardo al nostro obiettivo primario.
In un mondo che sta cambiando più rapidamente di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare, dobbiamo essere sia concentrati sull’obiettivo sia risoluti nella strategia per conseguirlo.
Lagarde, C. (2022), “La politica monetaria in un contesto di inflazione elevata: impegno e chiarezza”, conferenza organizzata dalla Eesti Pank e dedicata al Professor Ragnar Nurkse, Tallinn, 4 novembre.
Ciò è riscontrabile, ad esempio, se si confronta la componente comune e persistente dell’inflazione (persistent and common component of inflation, PCCI) con la PCCI al netto dell’energia. La prima è in forte calo dall’estate scorsa, mentre la PCCI al netto dei beni energetici si è soltanto stabilizzata.
Per una spiegazione delle diverse misure dell’inflazione di fondo, cfr. Ehrmann, M., Ferrucci, G., Lenza, M. e O’Brien, D. (2018), Misure dell’inflazione di fondo nell’area dell’euro, Bollettino economico, numero 4, BCE e BCE (2021), Inflation measurement and its assessment in the ECB’s monetary policy strategy review, Occasional Paper Series, n. 265, settembre.
Germania, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Austria e Grecia.
Definite come voci del paniere dell’inflazione di fondo per le quali i salari rappresentano oltre il 40% dei costi degli input.
In base all’indagine sulle forze di lavoro, queste sono aumentate di 2,2 milioni di unità dall’inizio dello scorso anno e si mantengono ben oltre i livelli precedenti la pandemia, per effetto dell’aumento della partecipazione dei lavoratori stranieri (+1,3 milioni), delle donne e di individui in età avanzata.
Dalla fine del 2019 circa la metà della crescita complessiva dell’occupazione è riconducibile a quella del settore pubblico.
Kouvavas, O., Osbat, C., Reinelt, T. e Vansteenkiste, I. (2021), Markups and inflation cyclicality in the euro area, Working Paper Series, n. 2617, BCE.
Tuttavia, la concentrazione del risparmio accumulato tra le famiglie a più alto reddito limita la misura in cui questa riserva finanziaria può sostenere la ripresa dei consumi. Inoltre, il valore reale dell’eccesso di risparmio è diminuito a causa dell’inflazione.
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